Mi licenzio e parto: la consegna della cicogna

Il viaggio lo senti. Ti accompagna ancor prima di farlo. Non puoi sbagliarti: la sua voce è unica. E’ una forza, un intuito, per molti una fuga. Quanti sono scappati dall’altra parte del continente, senza sapere esattamente perché, per una voce che gridava dentro ogni giorno? Grida forte prima di andare a dormire, si riflette nei volti dei passanti, nei sorrisi dei viaggiatori che per caso incroci. Non ti senti al tuo posto, devi andare. La sveglia suona ogni  mattina e aspetti  il venerdì per riprendere la vita che hai sospeso la domenica precedente. La solita sensazione di ansia, vorresti fare di tutto in quei due giorni del fine settimana: concerti, mostre, pulizie di casa, svuotare il sacco del bucato sporco, riempire il frigo vuoto, il corso di yoga, quell’amico che da tempo aspetta di incontrarti, il workshop di fotografia, recuperare la stanchezza, riposare, un viaggio fuori città. La città scorre e si rallenta di domenica suonando un gong che echeggia dentro come un tonfo duro,  e ti riconsegna la solita staffetta.

Dopo la laurea in economia aziendale iniziai a lavorare  in una nota multinazionale a Budapest, meta di tanti neolaureati italiani. Era quello che dovevo fare per l’approvazione sociale, avevo pur sempre una posizione a tempo indeterminato e la sicurezza di  una carriera prestigiosa. Il giorno prima delle mie dimissioni ritornai a casa alle ore 01.00 di notte, niente male se il taxi era già pronto ad aspettare all’uscita dell’ufficio e avevo ordinato la cena al ristorante a carico dell’azienda. Mi sentivo stanca, il taxista non proferì parola, il mio sguardo era fisso, ascoltavo dal finestrino gli schiamazzi dei passanti che facevano festa per le strade del VII Distretto budapestino, proprio dove ho vissuto per due anni. Desideravo partire per il Sud America e rifiutavo, in maniera ancora poco consapevole, di trovare un lavoro che mi piacesse per paura di non riuscire a ritornare indietro. Non sarebbe servito trovare un’azienda con una mission più vicina alla mia etica. Quella fu l’ultima volta che feci un colloquio per un’ azienda: “Lei è perfetta per questa posizione, ma troppo umana e sincera. Non è abbastanza spietata e competitiva”, mi comunicarono. Il viaggio già si era insediato dentro di me, già stavo facendo delle scelte per compierlo ancor prima di sapere la destinazione. Decisi di licenziarmi, i miei colleghi mi chiesero per quale azienda stessi lasciando, risposi con un sorriso liberatorio: “nessuna”. Solo lei, la mia cara collega norvegese Eirin conosceva i miei desideri, mi lanciò un post-it giallo sulla scrivania, mi chiese di scrivere in maniera impulsiva cosa avrei voluto fare da lì a 5 anni. Mi sorrise con i suoi occhi dolci di un azzurro intenso. “In bocca al lupo, Paulina. Lo farai. Hai un gran progetto”. Sud America, Asia, Africa, l’istinto aveva scritto.

Sentivo di ritornare alla natura, sapevo che non avrei voluto lavorare al computer, avrei voluto godere delle stelle di notte, della luce della luna, del vento tra gli alberi, del silenzio. Conoscevo il portale europeo SVE (Servizio Volontariato Europeo) e cercai un progetto, ma non avrei voluto applicarmi ufficialmente, a quel tempo rifiutavo qualsiasi iter burocratico. Trovai un progetto che sembrava ben organizzato, una fattoria biodinamica nel cuore della foresta finlandese: Heinola, nella regione  di Päijät-Häme. Invia una mail, fui accettata. Partii per la mia prima esperienza di convivenza con persone sconosciute per 24 ore al giorno. L’ansia del mio futuro mi assaliva, presto scoprii che le persone della fattoria avessero concluso percorsi accademici importanti e lasciato prestigiose posizioni lavorative. La loro serenità mi rassicurò. In una fredda giornata che annunciava un inverno già inoltrato ero nel campo di pascolo delle mucche a raccogliere quello che si chiamava oro: il letame delle mucche che sarebbe servito a preparare il fertilizzante per le semine dell’anno seguente. Mi chiedevo cosa stessi facendo, avevo un forte dolore al polso, le braccia erano stanche. Nei campi della foresta abitata da tanti laghi era forte il silenzio e sentii  un vento da lontano, un vento ritmico, alzai gli occhi al cielo, mentre sostenevo il forcone pieno di letame. Tre enormi cicogne rosa e bianche, enormi e sicure stavano sorvolando il campo, il vento che sentivo era il ritmo del battito delle loro grandi ali. Sorrisi, una sensazione di spensieratezza, di libertà, mi sorprese. Dalla finestra dell’ufficio non avrei potuto mai vederle. Saltai nel tank del camion che stavamo riempiendo, era pieno di letame, iniziai a danzare, ero viva.  Persino l’odore sembrava piacermi. Ero di nuovo viva. Tra il letame di mucca avevo trovato le risposte. 

In Finlandia ci sono 187.888 laghi: il tramonto dalla fattoria. 
Farming. Le mucche sono esseri molto sensibili, si lasciano avvicinare solo se sei serena. Nei loro occhi neri ci trovi tutto quello che vuoi. 

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2 pensieri riguardo “Mi licenzio e parto: la consegna della cicogna

  1. un diario di viaggio avvincente, è un’ emozione perdersi tra le righe del tuo racconto colmo di particolari e di vive sensazioni..non avevo dubbi sulla tua abilità di entrare nel cuore dei lettori, complimenti amica mia, attendo il prosieguo!!

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